«Prosecco, una sfida che dura da 100 anni». L'uomo che lo inventò si chiamava Etile, era la sua risposta allo Champagne

Lunedì 6 Maggio 2024 di Edoardo Pittalis
«Prosecco, una sfida che dura da 100 anni». L'uomo che lo inventò si chiamava Etile, era la sua risposta allo Champagne

L'uomo che 100 anni fa inventò il Prosecco si chiamava Etile e fece scrivere sulla prima bottiglia "Vino amabile spumante dei Colli di Conegliano prodotto dalla Carpenè Malvolti". Rispondeva con un vino tutto veneto al divieto francese di usare il termine Champagne.

Era il figlio del fondatore dell'azienda, Antonio, il chimico friulano che prima aveva combattuto con Garibaldi a Bezzecca, poi si era dedicato alla viticoltura discutendo di vino e piante e malattie con grandi scienziati come Pasteur e Koch. Col socio Francesco Maria Malvolti aveva disegnato la mappa dei vitigni e aveva convinto molti coltivatori a espiantare il granturco e a puntare sulla vite. Operazione rischiosa in una regione dove a fine Ottocento la polenta era spesso il piatto unico per la popolazione contadina. "Polenta e formenton/ aqua de fosso/ laora ti paron/ che mi no posso", diceva una canzone.


La campagna trevigiana aveva 150 abitanti per chilometro quadrato, la più alta densità del Regno d'Italia. Negli anni di carestia l'emigrazione era la sola alternativa alla miseria. Antonio Carpenè aveva aperto scuole, a incominciare da quella Enologica di Conegliano nel 1876. Era convinto che solo la cultura avrebbe davvero unito l'Italia, con uno sguardo al "Cuore" di De Amicis e un altro alla guida gastronomica dell'Artusi. Aveva sei figli per i quali aveva scelto nomi chimici: Rubidio, Etile, Iridio La moglie si oppose a una figlia chiamata Enocianina. In mezzo c'è la Grande Guerra: le cantine furono occupate dagli Austriaci dopo Caporetto, fu un saccheggio a Conegliano, mentre attorno fanti prigionieri venivano crocifissi ai portoni e le ragazze violentate e sgozzate. Gli invasori spararono alle botti, nella furia alcuni soldati austriaci ubriachi morirono annegati nel vino.


Dal 1868 la Carpenè-Malvolti imbottiglia i vini delle Colline di Conegliano, è la cantina più antica. I Carpenè sono alla quinta generazione, la prossima sarà al femminile con Rosanna alla quale seguirà Etilia. Un'azienda del Prosecco superiore: 5 milioni e mezzo di bottiglie, 22 dipendenti, 20 milioni di euro di fatturato. Anche grappa e brandy. La terra del Prosecco copre 35 mila ettari in quasi tutto il Veneto, fino alla Valpolicella, e nel Friuli. Nella pianura da Trieste a Vicenza si contano 26 mila ettari, gli altri sono in queste colline. Al vertice dell'azienda come direttore generale c'è Domenico Scimone, un messinese di 58 anni.


Com'è la situazione del settore dopo questa edizione del Vinitaly?
«Positiva. A tre anni dal Covid le prospettive di mercato sono diverse, si sono riaperti in modo completo i canali del turismo e della ristorazione. Oggi c'è un consumatore molto più attento specie alle scelte del cibo e del vino. Vinitaly è una fiera atipica, di convivialità, una vetrina per le aziende. Quella di quest'anno per noi è stata un'edizione significativa, anche per il centenario del Prosecco. Tornando a Verona, c'è da sottolineare un clima viziato da una deriva inflattiva, specie per i costi della materia prima, e dalla situazione geopolitica incerta. Il consumo di vino è stabile, ma bisogna fare attenzione al segnale arrivato: negli ultimi due anni si è avvertita una piccolissima decrescita perché le nuove generazioni consumano meno vino rispetto alle precedenti. I giovani si avvicinano al vino in maniera più consapevole».


Lei come è arrivato dalla Sicilia alle Colline del Prosecco?
«Sono arrivato nel Veneto nel 2003. Sono nato a Messina, mio padre era un imprenditore edile, è morto quando io mi ero appena iscritto all'università ed è iniziata una nuova vita. Dopo la laurea in Scienze Politiche ho dovuto subito lavorare e i primi 15 anni in grandi gruppi multinazionali sono stati notevoli per la mia esperienza. Ho lavorato nel mondo delle bollicine della Coca Cola e in quello dolciario della Ferrero: due aziende che mi hanno letteralmente costruito».


E il vino quando è entrato nella sua vita?
«Fino ai 22 anni ero astemio, non avevo assaggiato un goccio di alcol. Oggi non posso dire che sono un bevitore, ma certo lo degusto. Sono partito dalla cultura del territorio e così ho capito meglio l'origine. Una passione che mi ha travolto offrendomi l'opportunità di approfondire tutti gli aspetti culturali, sociali e economici. C'è un'associazione internazionale di specialisti che si avvicinano alla degustazione soltanto dopo aver conosciuto e compreso il mondo che c'è attorno a un vino: la Master of wine ha 450 esperti, in Italia sono solo tre. Contattato dalla famiglia Carpenè, sono arrivato a Conegliano nel 2012. Nei primi quattro anni sono stato direttore commerciale e marketing, il gruppo ha una società che gestisce il mercato in Italia e in questa società sono amministratore delegato e anche socio di minoranza. Nel 2016 sono diventato direttore generale. È un mondo lavorativo che mi affascina: prima ancora che essere impresa economica, questa è un'impresa culturale, storicamente impegnata e la storia impone tante responsabilità».


La cosa più importante che ha fatto?
«Aver fatto riscoprire l'assetto della storicità che poi è la linfa dell'azienda, soprattutto in un mercato così competitivo dove spesso si rischia di stressare la natura per creare solo volume. Adesso sono tante le imprese che hanno preso questa strada e si è arrivati alla creazione dell'associazione dei Marchi Storici. Della storia dell'impresa nel mondo, l'80% appartiene all'Europa e di questo il 60% è italiano. Dalle imprese iscritte a quell'associazione si possono ricostruire 10 mila anni di fatturato. Questa azienda è sempre stata della stessa famiglia, anche questo è un valore. Purtroppo siamo un paese che ha l'abitudine di perdere la memoria, di dimenticare i tasselli storici che dovrebbero sorreggerci e che sono le nostre stesse radici. Quest'anno abbiamo festeggiato proprio al Vinitaly i 100 anni dell'etichetta del Prosecco grazie alla spinta di un uomo che non era scienziato come il padre, ma che era innovatore e comunicatore. Etile Carpenè era stato mandato in Germania ad aprire la prima filiale fuori sede, quando nel 1902 perde il padre, rientra e vince con i suoi vini una medaglia d'oro all'Expo di Torino. Le medaglie complessive sono 126! Prova a gestire l'azienda che la Grande Guerra gli distrugge, riapre nel 1922, la chiama "Pasqua di resurrezione" alla maniera dannunziana. Un anno dopo reagisce col Prosecco al divieto francese di usare il nome Champagne e utilizza abilmente la pubblicità con i manifesti».


Il futuro del Prosecco?
«Il Prosecco dovrebbe dirigersi sempre più verso la qualità del territorio. Le Colline sono baciate dalla natura, immerse in una culla tra le Dolomiti e il mare Adriatico. La strada dell'obiettivo numerico della produzione può rivelarsi un rischio assoluto, bisogna puntare a un obiettivo più di valore. Si rischia di maltrattare il prosecco se si fa troppa speculazione. Il problema non è raggiungere il miliardo di bottiglie, come ho letto da qualche parte, ma raggiungere un prezzo medio più giusto. È raggiungere una difesa collettiva davanti alle contraffazioni, difendere soprattutto la qualità. C'è un'onda preoccupante che deve essere gestita bene dalle istituzioni, per evitare che ogni produttore agisca per conto suo. Le Colline sono un valore inestimabile, quel paesaggio non si può assolutamente modificare: siamo obbligati a rispettarlo e a migliorarlo. Non dobbiamo cedere a un processo che spesso è stato confuso col turismo: il riconoscimento Unesco non è un fatto speculativo. C'è una cultura attorno alle Colline ed è questa la forza».

Ultimo aggiornamento: 7 Maggio, 11:48 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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