La storia di Bojan, dalla guerra nell'ex Jugoslavia alla gestione dei Soffioni: «La mia infanzia sotto le bombe»

Sabato 4 Maggio 2024 di Valentina Dal Zilio
Bojan Kaluder, il barista di 39 anni cresciuto sotto le bombe in Serbia e ora gestore dei Soffioni a Treviso

TREVISO - «La cosa che mi fa ancora paura? Il suono della sirena. Era angosciante, perchè poteva voler dire: tra un secondo non ci sei più». Bojan Kaluder, classe 1984, allinea i calici degli spritz sul vassoio da portare al tavolino dei turisti all’ombra della Loggia dei Trecento. E’ lui che gestisce il locale dei Soffioni nella nuova veste voluta da Paolo Lai. Ne ha fatta di strada prima di arrivare a “governare” uno dei banconi più in voga del centro storico. Dai primi lavori a Conegliano («Fondamentali, mi hanno insegnato tantissimo») al crescendo nella ristorazione trevigiana. Ma c’è un prima a tutto questo, che fa di Bojan se non un sopravvissuto, di certo un fortunato. Lui che bambino, 6 anni appena, deve passare il suo tempo in un rifugio per scappare dalle bombe della guerra nell’ex Jugoslavia. Siamo in Bosnia a Tuzla, anno 1991. «E’ lì che sono nato e ho i primi ricordi. Felici, fino alla partenza di mio padre e mia madre. Era scoppiata la guerra e i miei avevano capito che dovevano rischiare per provare a dare una chance di salvezza a tutta la famiglia. Loro, infermieri, sapevano che in Italia c’era grande richiesta di lavoro. D’altronde in Bosnia non prendevano più uno stipendio, i venti di guerra avevano spazzato via soldi, sogni e futuro».

LA SCELTA

Da qui la decisione, dolorosa ma necessaria. Lasciare i piccoli di un anno e 6 anni con la nonna e partire alla volta dell’Italia, destinazione Conegliano, ospedale De Gironcoli. «Nonna Rabja è stata un pilastro per me e mio fratello più piccolo. Di quei sei mesi ricordo le fughe ogni qualvolta suonava la sirena: nel rifugio vicino a casa dei miei, nelle cantine e negli sgabuzzini. Ma è capitato anche che mia nonna ci nascondesse nella vasca da bagno. Riteneva che lì le bombe non sarebbero potuto arrivare...Di quel periodo ricordo i volti di donne e bambini. E anziani. Uomini non ce n’erano, erano tutti a combattere».

La vita che si sgretola. «Ricordo il nostro vicino Danilo richiamato in Serbia: ha lasciato casa e mollato tutto. Non l’abbiamo più rivisto».

LA RIPARTENZA

Sei mesi di paura, poi lo spiraglio. «I miei che nel frattempo avevano iniziato a lavorare mandavano ogni mese dei soldi a mia nonna, sarebbero serviti per il viaggio verso la vita. Una mattina insieme a lei siamo saliti sulla corriera per Zagabria dove ad aspettarci c’era mio papà in macchina. Mamma era rimasta a Conegliano. Da Zagabria è iniziato il percorso della speranza. Ci fermavano a ogni posto di blocco e alla frontiera non ci volevano far passare perchè mia nonna era senza documenti. “Lasciatela qui e passate con i bambini” dicevano i militari. Ma papà non ne voleva sapere. Così a notte fonda cambiando valico ha fatto un ultimo disperato tentativo: il poliziotto ha fatto un gesto di via con la mano e ci ha fatto passare. Io il movimento di quella mano ce l’ho davanti agli occhi da 34 anni». L’arrivo a Conegliano ha il sapore di un piatto di pasta al pomodoro («Il più buono della mia vita») fatto da mia madre. Ai miei genitori devo tutto, ci hanno salvato e ci hanno reso possibile una vita normale». Bojan studia a Conegliano, lavora dapprima in pizzeria da Gianca a San Vendemiano («Nel menù c’è ancora la pizza Bojan» ) e al bar Jenny, poi a Treviso ai biliardi del Masterclub e nel 2010 apre in piazza San Leonardo l’Oasis. Quindi l’ascesa con Equilibri, da Burici e oggi ai Soffioni. Ma cosa si prova a vedere oggi le immagini di guerra nel mondo? «Sofferenza. E’ una cosa che hai vissuto e che ti tocca dentro. E che purtroppo non credo finirà mai».

Ultimo aggiornamento: 21:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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