La Presidenza belga in Ue ha promosso e convocato per domani a Bruxelles, approfittando del giorno di festa, una conferenza stampa nella quale illustrerà le “doti salutari e benefiche” del nutri-score, un sistema di etichettatura dei prodotti alimentari sviluppato in Francia nato per semplificare l'identificazione dei valori nutrizionali di un prodotto alimentare attraverso l'utilizzo di due scale correlate: una cromatica divisa in 5 gradazioni dal verde al rosso, ed una alfabetica comprendente le cinque lettere dalla A alla E.
Il punteggio è stato sviluppato da un gruppo di ricercatori universitari francesi, l'Equipe de Recherche en Epidémiologie Nutritionnelle, guidato dal nutrizionista Serge Hercberg, che si basa sulle tabelle nutrizionali della Food Standards Agency del Regno Unito, il cui corrispondente sistema "traffic lights" è stato messo in discussione dagli esperti.
L’Italia è da sempre contraria e certamente la sua assenza gioverà non poco allo story-telling franco belga.
Uno dei nemici giurati del sistema è il prof.
In Italia il dibattito ha sempre considerato prevalentemente il nutri-score una forzatura scientifica, filosofica e politica. Chi lo promuove attribuisce ad esempio la responsabilità dell’obesità a certi nutrienti, essenziali per la nostra dieta, se consumati in modo equilibrato. Le cause dell’obesità sono molteplici e molto complesse, e non si risolvono con un semaforo sull’etichetta. Infatti, l’obesità non scende nei paesi che adottano il Nutriscore, ma sale.
In pratica invece di una vera e propria educazione alimentare, filosofia prevalente nel nostro paese, in chi crede nel sistema è l’algoritmo a suggerire cosa è buono o cosa è cattivo secondo l’algoritmo francese.
Inoltre sono in molti a sospettare che il nutri-score favorisca quelle multinazionali che, prive di una tradizione culinaria, promuovono prodotti globali, inseguendo, legittimamente, un’economia di scala. Infatti, i grandi gruppi internazionali sostengono questi schemi di etichettatura, perché consentono di manipolare le formule degli alimenti per ottenere il cibo “salutare” di cui il consumatore non sa nulla). Le tradizioni locali, come la Dieta Mediterranea, o le aziende della tradizione locale, che fanno prodotti difficilmente riformulabili, finiscono tra i cattivi. O modificano le loro ricette, se possono, snaturando la tradizione, sapori e consistenza, o rischiano di non vendere più.